Dopo una lunga interruzione dell'attività culturale e teatrale dovuta all'emergenza Covid-19, il Museo delle marionette riapre le porte al suo pubblico. Dal 2 agosto sarà finalmente possibile visitare la mostra Giuseppe Bonsignore. Devozione e memoria realizzata in collaborazione con Osservatorio Outisider Art, a cura di Eva Di Stefano e Rita Ferlisi.
Il suo immaginario appare fortemente suggestionato sia dall'importante patrimonio artistico barocco della città, sia dal mistero della clausura dell'impenetrabile Monastero del SS. Rosario, a cui dedica più di un'opera, e dal suo fondatore agli inizi del XVII secolo, il Duca Santo, Giulio Tomasi, che ritrae con tecnica divisionista, e nel quale non fatichiamo a immaginare l'artista stesso, oltre a riconoscere il famoso dipinto secentesco che proprio nel Monastero mostra le fattezze del nobile signore. Non poteva mancare una sorprendente interpretazione materica, fatta di materiali di risulta, carta e vernici, del Gattopardo, metafora schiacciante di un universo letterario e umano che ancora oggi, pregnante si respira nella città natale dell'artista.
Giuseppe Bonsignore. Nasce a Palma di Montechiaro il 3 luglio 1921. Artista autodidatta, frequentò la scuola fino al ginnasio, e al sopraggiungere del secondo conflitto mondiale prestò servizio come bersagliere in diverse città del nord del paese. Dopo gli orrori vissuti durante la guerra, in seguito all'armistizio dell'8 settembre subì dei traumi fisici da parte dei soldati tedeschi in precipitosa ritirata dall'Italia. Le cicatrici lo segneranno per il resto della vita, tanto da essere ricoverato prima presso l'Ospedale Psichiatrico Provinciale di Gorizia e in seguito ricondotto dai propri familiari in Sicilia, presso l'Ospedale Psichiatrico di Agrigento, per i continui e costanti segni di squilibrio che cominciò a manifestare con sempre più frequenza. La perdita della madre, a cui era molto legato, peggiorò il suo stato emotivo e intraprese un percorso esistenziale eccentrico esplicitandolo nel suo abbigliamento stravagante, nella sua vena artistica e canora che lo portava, incurante degli scherni e delle burle, a esibirsi danzando per le strade del paese.
Dopo un breve soggiorno in Germania, dove il marito della sorella si era prodigato a trovargli una occupazione, ritornò precipitosamente alla sua Palma di Montechiaro, l'unico luogo fisico che riteneva rassicurante e terapeutico, teatro e soggetto di molte delle sue creazioni artistiche e pittoriche. Girovagando per le vie del paese era solito raccogliere materiali di recupero a lui consoni per esprimere la sua creatività, dalle cassette da frutta scomposte e riutilizzate, a brandelli di sacchi di iuta e di stracci, da ritagli di plastica a vere e proprie tele, acquistate da potenziali compratori interessati alla sua arte. La condizione di indigenza, condivisa con la moglie Ida Cacciatore sposata nel 1982, lo portava spesso a barattare in cambio di un pasto caldo le sue creazioni. Muore ad Aragona l'8 dicembre 2006, in una casa di riposo, dove era stato ricoverato insieme alla moglie per le precarie condizioni di salute.
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