AM - Antropologia museale continua in questo numero il suo programma di pubblicare etnografie del contemporaneo, in questo caso focalizzate sul processo di artificazione, che investe in modo diretto anche musei e patrimoni etno-antropologici. La nozione di Artification segnala il paradosso del successo dell’arte ai tempi della sua decostruzione. Della sua perdita in essenza, in normatività, in aura, in esclusivismo che non ne decreta il declino ma bensì la fortuna o almeno la sua pretesa egemonica. Appare doveroso e necessario aprire un osservatorio sui modi in cui l’artification opera in diversi contesti e su come si vanno ibridando le pratiche artistiche e quelle etnografiche, dissolvendosi spesso le une nell’altre ed anche inventandone di inedite. Anche se noi antropologi raccontiamo, fotografiamo, filmiamo, realizziamo montaggi, archivi digitali, installazioni e musei, ovvero comunichiamo con competenze espressive impregnate di vincoli etici, di maniere riflessive e di sensibilità estetiche anche locali, c’è chi sostiene che spetterebbe ai creativi la “trasfigurazione” di questi dati grezzi in valori estetici del “contemporaneo”. Ci interessa analizzare con sguardo d’orefice le logiche sottese, i modi e i linguaggi impegnati, i contesti prescelti, le tensioni e i dilemmi, le politiche e le poetiche veicolate in situazioni e culture diverse. Come anche documentare le forze sociali, economiche, accademiche, istituzionali che sostengono i processi di artificazione e quelle che vi si oppongono o solamente vi resistono. Affinare la nostra comprensione critica riconoscendo all’antropologia riflessiva dell’arte e del patrimonio un’emergente centralità è un obiettivo dichiarato che suggerisce anche di rivedere la nostra cassetta degli attrezzi per misurarne l’idoneità rispetto agli scenari contemporanei e ai media elettronici, sorvegliare il nostro sguardo nel mentre insieme all’oggetto di indagine e ai suoi agenti sta radicalmente mutando.
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